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Positivi Covid e tamponi

02/10/2020

Vorrei affrontare il tema del rapporto fra numero dei tamponi effettuati e numero di positivi accertati.

La vulgata, molto popolare specialmente fra negazionisti e “sottovalutatori”, è che più tamponi si fanno, più positivi si trovano, ma ciò non dimostra che l’infezione si sia diffusa, ma solo che viene più alla luce.

Vorrei cercare di confutare questo modo di pensare.

Innanzitutto, bisogna distinguere fra tamponi e casi testati. Da prendere come misura di intensificazione dei test sono i secondi (in media circa il 60% del totale), in quanto si possono fare più tamponi alla stessa persona.

L’ipotesi che sottende al ragionamento della irrilevanza del numero dei nuovi positivi e del rapporto più tamponi=>più positivi scoperti è che l’infezione abbia una sua dinamica la cui causa sia “naturale” (anche se non si capisce bene di quale natura sia) e che i tamponi, fatti assolutamente a caso, non facciano altro che individuare casualmente gli infettati (Quindi più tamponi si fanno più positivi in numero assoluto si trovano). La conclusione che ne deriva è che la variazione di positivi da un giorno all’altro possa essere spiegata quasi completamente dalla variazione dei tamponi, non dalla variazione del contagio. 

Dal punto di vista politico e sociale la conclusione è che ogni allarme causato da un aumento di positivi non sia altro che: ti credo! Hanno fatto più tamponi, complotto mondiale o locale, interessi di qualcuno, volontà di infondere paura, strumento per avvalorare la “dittatura sanitaria”, ecc.
La fantasia non ha limiti.

Per prima cosa guardiamo i dati: il rapporto fra nuovi casi accertati e numero di casi testati varia tra il 10% e lo 0,5%. Quindi, prima osservazione: se fosse vera l’ipotesi della “vulgata”, questo rapporto dovrebbe mantenersi costante e invece ha un andamento molto irregolare.

Non solo, ma la correlazione semplice fra numero dei casi testati e positivi trovati è pari 0,69, valore che indica un certo grado di legame, ma che in realtà dovrebbe essere più elevato e vicino all’unità per poter individuare una stretta relazione “negazionista”.

Il problema è che è sbagliata la premessa e da ciò deriva che è sbagliata la diagnosi, per non parlare delle considerazioni “politiche”: infatti la stragrande maggioranza dei tamponi non viene fatta scegliendo a caso le persone e i luoghi ma, al contrario, i tamponi vengono fatti ai soggetti e nei luoghi dove già si hanno serie indicazioni della possibilità di esistenza di un focolaio infettivo. La controprova è che i casi positivi derivano nella stragrande maggioranza (oltre l’80%) dai cosiddetti “casi da sospetto diagnostico”; solo il restante 20% da “casi da screening”.

Una certa correlazione fra casi testati e positivi trovati è dovuta a questa scelta razionale, che però, data la diversità nel numero e nelle caratteristiche del pericolo focolaio (diverso è fare tamponi a tappeto in una RSA dove c’è stato un caso, rispetto ai test agli aeroporti per provenienti da paesi a rischio) risulta una correlazione non particolarmente alta.

In conclusione, si può dire che una semplice correlazione fra numero di tamponi e numero dei positivi trovati c’è, anche se non molto elevata, ma il nesso causale è rovesciato: più è elevata la probabilità di trovare contagiati, più tamponi si fanno e quindi, contrariamente al numero delle persone testate, la variazione del numero di positivi è un indice molto attendibile dell’estensione dell’infezione.