Guerra al virus: giovani contro vecchi

L’isolamento degli anziani può evitare i danni di un blocco delle attività?

Una delle conseguenze di questa pandemia, dovuta al fatto che questa, nelle sue conseguenze, colpisce in modo differenziato vari strati della popolazione, è il rischio di mettere tutti contro tutti, di fatto dimenticando il pericolo stesso: la pandemia!

Un aspetto particolare è quello della questione dell’età, in modo particolare giovani contro vecchi, con l’idea che i giovani siano più colpiti dal punto di vista economico dai provvedimenti anti-contagio, mentre al contrario i vecchi siano maggiormente vittime del virus.

Che il virus sia più pericoloso per gli anziani è suffragato dai dati sulla mortalità e più in generale sulla gravità del contagio, ma che i giovani siano più colpiti economicamente dalle misure di chiusura è di difficile calcolo in quanto: da una parte è vero che abbiamo abbiamo un elevato numero di pensionati, ma è altrettanto vera l’elevata e crescente età media dei lavoratori e la percentuale di giovani disoccupati o inattivi a carico degli “anziani”.


È uscito e ha fatto clamore un intervento in cui si tenta di dare una parvenza scientifica a questa contraddizione da parte di tre economisti (https://www.lavoce.info/archives/70177/separare-giovani-e-anziani-per-scongiurare-il-lockdown/) i quali auspicano una politica di isolamento degli anziani e rimozione delle chiusure per gli altri.  Vorrei cercare di contestare la validità di una impostazione come quella suggerita dai tre economisti autori dell’intervento.

Diamo per scontato (anche se gli stessi autori ritengono che sia molto difficile) che sia possibile isolare tutti coloro che per età e condizioni pregresse hanno una maggiore probabilità di morte da contagio. A seconda della “soglia di anzianità” che si sceglie si tratta di isolare dal 16% al 20% della popolazione (sopra rispettivamente 70 e 65 anni), più una, quota di popolazione, difficile da stimare, con cui gli “isolandi” hanno insostituibile necessità di contatto (colf, badanti, infermieri, familiari, ecc.).

Diamo anche per scontato, ipotesi molto difficilmente accettabile, che tale processo di isolamento non abbia costi economici.

Accettando queste ipotesi alquanto irrealistiche si può pensare di isolare i due “contendenti”: 

1)    da una parte gli anziani relegati in un sistema protetto e senza contatti pericolosi in cui quasi si azzera il pericolo di contagio e la mortalità da Covid.

2)    Dall’altra i più giovani in un ambiente “normale produttivo ed efficiente”, in cui il virus sia libero di girare e in cui il tasso di mortalità sia molto più basso dei quello medio attuale. Infatti, i deceduti sotto i 70 anni sono solo il 15% dei deceduti totali (dai dati dell’articolo)

In questo modo si salvano gli anziani e si salva l’economia e il lavoro dei più giovani e il virus fa morire poche persone. Semplice no?


A mio avviso non è così. Anche accettando tutte le ipotesi irrealistiche di cui il ragionamento dei tre economisti ha bisogno, dobbiamo analizzare le conseguenze degli effetti del tasso di mortalità dei meno giovani comunque presente.

 Attualmente i deceduti sotto i 70anni sono circa 5.700, non si hanno dati sui contagiati per età, comunque i defunti non anziani sono circa 0,9% del totale dei contagiati (650mila), potremmo quindi supporre, in modo estremamente prudente, che almeno 1% dei giovani contagiati sia defunto.

Il problema che ci troviamo di fronte è questo: nel giovane mondo senza restrizioni in cui il virus è libero di espandersi, quanti contagi avremo fra i meno giovani, cioè fra i restanti 50 milioni di persone? Facendo l’ipotesi molto restrittiva che solamente 10milioni di giovani siano contagiati, ci troveremo di fronte a 100mila morti di meno giovani, il triplo dei morti attuali.

Sarebbe sostenibile ed economicamente ininfluente? Penso proprio di no!


A tutto questo va aggiunto, oltre al fatto di aver ragionato su ipotesi assolutamente irrealistiche, il fatto che la morte è uno degli aspetti della malattia ma dovremmo aggiungere altri effetti del contagio: la ospedalizzazione e le cure riguardanti i giovani malati.

Quanti potrebbero essere i giovani dei 10milioni di contagiati con necessità di ospedalizzazione è di difficile calcolo, ma sicuramente sarà un multiplo dei 100mila morti quindi nell’ordine di qualche milione, bisognosi di cure che, anche se più brevi ed efficaci, comunque sarebbero molto costose, intaserebbero il sistema sanitario causando ulteriori morti.


In conclusione, credo che questo tentativo di trovare soluzioni “semplici” al problema della pandemia sia un completo fallimento e più velocemente viene messo da parte meglio è, altrimenti non servirebbe ad altro che ad acuire le già estese contraddizioni da “guerra fra poveri” e a perdere di vista il nemico che è uno, l’espandersi dell’epidemia!


PS

L’autore di questo scritto potrebbe essere in conflitto di interesse dato che la sua condizione anagrafica lo colloca fra gli ultrasettantenni.