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Riflessioni sulla valutazione degli eventi del 7 ottobre

09/10/2025

Riflessioni sulla valutazione degli eventi del 7 ottobre

Introduzione

Quando si affronta la questione degli eventi avvenuti il 7 ottobre, la prospettiva da cui si osservano i fatti incide profondamente sulla valutazione. Il mio tentativo è stato quello di comprendere tali eventi dal punto di vista di un palestinese, mentre altri li interpretano attraverso una lente italiana. Questa differenza di approccio genera inevitabilmente valutazioni discordanti. Personalmente, fatico non solo a pormi nella posizione di chi potrebbe compiere atti di violenza estrema, ma anche solo a immaginare una situazione che mi porterebbe a togliere la vita a qualcuno, tanto meno a bambini o donne indifese. Per questo motivo, ciò che accade in Medio Oriente mi appare come una crudele e ingiustificabile assurdità.

La difficoltà di mettersi nei panni altrui

Non sono né palestinese né israeliano, e sono consapevole che immedesimarsi negli altri sia complicato. Tuttavia, ritengo che, per poter esprimere opinioni — non necessariamente giudizi — sia uno sforzo necessario. Con queste riflessioni cerco di compiere questo tentativo, distinguendo tra i diversi aspetti della valutazione delle azioni del 7 ottobre.

Legittimità dell'azione

Un primo aspetto da considerare è la legittimità. Su questo punto, non ho dubbi: si è trattato di un’azione di guerra contro coloro che vengono percepiti come colonizzatori — non contro la comunità ebraica in quanto tale — e vi è stata una partecipazione di massa, che ha coinvolto anche civili non appartenenti a formazioni militari. Secondo i dati israeliani, il bilancio è di 1175 morti: 725 civili israeliani, 71 stranieri, 379 militari, e 251 rapiti (vivi o deceduti). Non sono disponibili dati sulle perdite palestinesi.

La legittimità trova fondamento in tutto ciò che è avvenuto prima del 7 ottobre e che non può essere dimenticato: una lotta di liberazione che, giustificata o meno, ha assunto la forma di conflitto armato. Questa lotta è organizzata da Hamas, una formazione politica e non da fanatici terroristi, e la sua rappresentatività tra i palestinesi è difficilmente contestabile, sia a Gaza che in Cisgiordania, essendo stato il gruppo più votato nelle ultime elezioni. Il fatto che Hamas abbia ricevuto finanziamenti anche da Israele non cambia la sostanza, poiché rientra nelle strategie tipiche dei colonizzatori il cercare di sfruttare le divisioni interne ai colonizzati. Naturalmente, la valutazione dell’ideologia di Hamas può essere soggetta a opinioni diverse; personalmente, la trovo molto distante dal mio modo di pensare e dai miei valori, ma ciò non influenza la comprensione dei fatti.

Per quanto riguarda le modalità dell’azione, anche ammettendo una revisione dei resoconti israeliani, queste appaiono ai nostri occhi — e ai miei in particolare — come feroci e disumane. Tuttavia, sarebbe ipocrita ignorare la situazione, anch’essa disumana, che da anni si vive a Gaza. Una ferocia non giustifica l’altra, ma aiuta a comprenderla; non si può prescindere dal contesto oggettivo se si vuole analizzare con lucidità quanto accaduto.

Utilità dell'azione

Sul piano dell’utilità, i dubbi sono legittimi. Osservando la reazione di Israele, è evidente che, se fosse stata prevista una risposta di tale portata (era prevedibile?), persino Hamas avrebbe potuto dubitare dell’utilità di un’azione simile per i palestinesi. Solo l’esito delle trattative in corso potrà chiarire quale sarà il futuro per il popolo palestinese. Personalmente, sono scettico sulla possibilità di soluzioni stabili nel breve periodo. Nel lungo periodo, le alternative sembrano ridursi a due: uno Stato, Israele allargato, fondato su una rigida apartheid razziale, oppure la scomparsa di Israele stessa, sostituita da un paese che ospiti due popoli.